Un paese dispensato dall'attrito con la realtà
Nelle nazioni sottosviluppate si supplisce con le parole e la fantasia all’arretratezza della società. Ecco perché in Italia le teorie accelerazioniste hanno subìto un interesse maggiore
Grazie all’ottimo volumetto introduttivo di Tiziano Cancelli – “How to accelerate”, Tlon editore – ho potuto finalmente soddisfare tutte le mie curiosità sull’accelerazionismo, che a dire il vero non erano moltissime. Si tratta di un pasticcio teorico preparato nelle cucine accademiche britanniche e farcito fino a scoppiare di ingredienti alquanto indigesti – cibernetica, marxismo radicale, occultismo pop, fantascienza, gli immancabili Deleuze e Guattari – secondo cui l’unico modo per andare oltre il capitalismo è accelerarne le spinte disgregatrici, specie quelle provenienti dalla tecnologia. Una frase più di tutte mi ha colpito: “Fra i paesi di lingua non anglofona, l’Italia è sicuramente quello in cui le teorie accelerazioniste hanno subìto un interesse maggiore”. Credo di sapere il perché. Ma preferisco che a dirlo sia Luigi Barzini, intervistato più di quarant’anni fa da Federico Orlando (in “La cultura della resa”, Edizioni dello Scorpione, 1976): “Nei paesi sottosviluppati, o sviluppati troppo rapidamente, nei quali le abitudini, i consumi e i metodi di lavoro sono (o sembrano) moderni ma la mentalità è ancora arcaica, vanno di moda, nell’arte come in politica, le teorie più audaci e inverosimili. Nessuna avanguardia è più avanzata di quelle di alcune repubbliche africane di recente arrivate all’indipendenza. Si supplisce, cioè, con le parole e la fantasia all’arretratezza della società”. Ebbene, quale paese migliore per accelerare di quello in cui la retorica volteggia senza freno come l’ippogrifo di Astolfo, magicamente dispensata dall’attrito con la realtà?