Il Cito-fono di Salvini
In un ideale dizionario etimologico della politica italiana, la radice del segretario della Lega è l'ex sindaco di Taranto
Le etimologie inventate o paretimologie suonano spesso più vere di quelle vere, lo sappiamo fin dall’alto Medioevo, e tanto mi basta per proporre un piccolo emendamento ai dizionari. Citofono: non più dal latino citus, rapido, ma dal tarantino Cito, Giancarlo. Discende da lì l’intimidazione squadrista dell’ex ministro dell’Interno, che scortato da un manipolo di pretoriani si è presentato alla porta di un privato cittadino di origini tunisine. “Niente come la carriera del sindaco di Taranto, di quest’incredibile personaggio, serve a capire la transizione politica che il paese sta vivendo”, scriveva Sandro Viola nel 1994, ma non aveva ancora visto nulla: lo paragonava a Noriega, in assenza di Chávez; e alludeva a Berlusconi, perché il legittimo rampollo era ancora in fasce. In un ideale dizionario etimologico della politica italiana, la radice di Salvini è Cito, capitano di un’altra Lega, la Lega d’Azione Meridionale: il sindaco-sceriffo che nel 1995 esautora il suo assessore e si nomina capo della polizia municipale, consegnando manganelli e pistole calibro nove ai vigili perché li usino contro “zingari, negri e extracomunitari”, l’ex picchiatore fascista cacciato dal Msi che guida le ronde per fronteggiare le “orde di clandestini che assediano la città”. Il tutto in diretta, sotto l’occhio delle telecamere di Antenna Taranto 6, dove mette alla gogna avversari e magistrati, invoca punizioni esemplari, denuncia complotti, si fa vedere badile in mano nei cantieri. E non bastava certo l’omonimia con l’altro Giancarlo, Giorgetti, a fargli da foglia di fico.