Non tutte le frittate sono uguali
Quella che avremmo fatto in spiaggia ad agosto andando a votare, non l'avremmo digerita facilmente. Ecco perché la politica non è altro che una corsa col cucchiaio per portare in salvo le uova più preziose
Al crepuscolo (decida il lettore di cosa) capita che la grande storia allunghi le sue ombre sulla cronaca, dandole un aspetto sinistro. Raccontando l’epopea della Rivoluzione d’ottobre, gli storiografi marxisti piegarono spesso al loro tornaconto ideologico due concetti riottosi, il caso e la necessità. Ineluttabile, dicevano, fu il collasso dello zarismo e il trionfo del bolscevismo; accidentale, invece, la transizione dal leninismo allo stalinismo. La storia, a quanto pare, era corsa fino a un certo punto sui binari, con le masse proletarie a bordo, salvo poi proseguire su un cavallo brado per una sciagurata deviazione lunga trent’anni, montata da un cavaliere dispotico e superbo. Il sovietologo Richard Pipes propose, con buoni argomenti, di rovesciare lo schema. Le Uova Fabergé dello zar si ruppero per una concatenazione di accidenti in fin dei conti evitabile; ma una volta fatta la frittata d’ottobre, era fatale che il terrore rivoluzionario evolvesse in terrore sistematico. Ebbene, mi pare che molti commettano a proposito del populismo un errore simile a quello indicato da Pipes. È un’onda storica inarrestabile, ci dicono; cercare di bloccarlo con manovre e di palazzo e dilazioni non varrà a nulla; che dilaghi, se deve dilagare, e poi correremo ai ripari. Sono quelli che ad agosto spingevano per votare. E invece, le ombre della storia mi portano a pensare che se avessimo fatto la frittata in spiaggia non l’avremmo digerita facilmente, e che a volte la politica non è altro che una corsa col cucchiaio per portare in salvo le uova più preziose.