Il coronavirus non è un gruppo terroristico e una bozza di decreto non è un falso comunicato. Ma lo scopo delle indiscrezioni è causare una serie di reazioni emotive a cui è difficile porre rimedio
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Un archeologo delle fake news in Italia non può astenersi dall’esplorare i fondali limacciosi del Lago della Duchessa. Il 18 aprile del 1978, il comunicato numero 7 delle Brigate Rosse annunciava “l’avvenuta esecuzione del presidente della Dc Aldo Moro, mediante ‘suicidio’” e invitava a cercare il cadavere nelle acque di quel lago tra Lazio e Abruzzo. Mentre i vigili del fuoco scandagliavano il bacino, il paese visse ore di apprensione, di lutto e di sconcerto. Il comunicato, però, era opera di un falsario vicino alla Banda della Magliana: a stretto giro, le Br diffusero il vero comunicato numero 7, con una Polaroid di Moro vivo che teneva in mano la Repubblica del 19 aprile. Molti anni dopo, Sergio Zavoli chiese a Mario Moretti di rievocare quello strano episodio. Il capo brigatista disse che si era trattato di una prova generale di qualcuno che voleva forzare la mano. Diffondendo false notizie, “si crea evidentemente un clima dal quale poi è molto difficile venir fuori”. In una frase, Moretti aveva spiegato il meccanismo e lo scopo delle fake news, delle indiscrezioni e delle voci: aprire un vaso di Pandora di reazioni emotive, sociali e politiche su cui neppure la più accurata delle smentite, neppure il fact checking più laborioso potrà rimettere un coperchio. Cosa c’entra tutto questo con l’oggi? Nulla. Il coronavirus non è un gruppo terroristico e una bozza di decreto non è un falso comunicato. Ma si può dire che intorno al governo c’è gente che ha meno senso dello stato di un capo brigatista?