La Verità di Agamben
Il filosofo se l'è presa con i virologi, colpevoli di decidere "come devono vivere gli esseri umani". Ma il suo editore si è guardato bene dallo specificare dove lo aveva dichiarato: con i contagi intellettuali non si scherza
L’ultima Thule, nel nord più a nord del nord, è la patria mitica degli Iperborei. Alle colonne d’Ercole della filosofia, raggiunte a forza di oltranze retoriche e temerità speculative, vivono invece gli Iperbolici. Ieri Giorgio Agamben ha denunciato l’avvento di un nuovo dispotismo che “quanto alla pervasività dei controlli e alla cessazione di ogni attività politica, sarà peggiore dei totalitarismi che abbiamo conosciuto finora”, perché il suo apparato di vigilanza “eccede di gran lunga ogni forma di controllo esercitata sotto regimi totalitari come il fascismo o il nazismo”. Di gran lunga. Caspita. Non c’è da spaventarsi, però. Nel 1994, sul Monde, Agamben aveva scritto che in Italia potevamo aspettarci anche “dei nuovi campi di concentramento”. Anni dopo, scampati Dio sa come ai lager berlusconiani, ci piombò addosso la grande crisi e Agamben, accampato come stilita sulle colonne di Repubblica, scacciò dal tempio gli pseudosacerdoti della religione “più feroce e implacabile che sia mai esistita”, la Finanza. Ecco però che, più feroce ancora, s’insedia la religione della Scienza; e come i teologi non sapevano definire Dio ma bruciavano gli eretici, dice Agamben, così i virologi non sanno cos’è un virus ma “in suo nome pretendono di decidere come devono vivere gli esseri umani”. Queste ultime meditazioni compaiono nella rubrica del filosofo sulla pagina dell’editore Quodlibet, ma citano come fonte “un’intervista uscita oggi su un quotidiano italiano”. Perché d’accordo, il distanziamento sociale è “una superstizione medievale”, ma con i contagi intellettuali non si scherza mica, specie quando si ha l’imprudenza di schiudere il proprio intelletto all’Aletheia di Belpietro.