La politica italiana è tutto un gioco di specchi
A partire da quelli deformanti dei sistemi elettorali, che capovolgono le immagini; e così, fenomeno otticamente bizzarro, l’elettore cauto sembra pendere verso un partito più estremista
Quando penso a una nozione elusiva come quella di rappresentanza, mi trovo di colpo catapultato nella sala degli specchi di un luna park. Ci sono anzitutto i mille specchi deformanti dei meccanismi elettorali, che possono ingigantire, snellire, spezzare o frastagliare variamente il corpo che vi si riflette; ma i giochi anamorfici passano anche per canali più imponderabili. Prendiamo il caso della destra nell’Italia repubblicana. Con metafora presa non già dall’ottica ma dall’ittica, si è detto che la Dc operava come una cozza, spurgando le correnti torbide di un elettorato che propendeva molto più a destra e trasformandole in qualcosa di costituzionalmente potabile. Venuto meno quel filtro dopo la grande pesca con la rete del 1992, il berlusconismo ha offerto uno specchio più fedele nella sua esasperante mutevolezza, capace di farsi concavo o convesso (la metafora è di Berlusconi stesso) a seconda delle protuberanze e delle rientranze di un elettorato di volta in volta conservatore, estremista, liberale, ultracattolico, ultraedonista, qualunquista, fascistoide. Oggi accade però che il meccanismo filtrante brevettato dalla Dc sia stato non tanto rimosso, quanto commutato: l’offerta politica appare vistosamente più a destra della domanda, e l’elettorato si trova a specchiarsi in certe sagomazze da tunnel degli orrori. Ma si sa che gli specchi, artifici infidi, capovolgono le immagini; e così, fenomeno otticamente bizzarro, l’elettore cauto sembra pendere verso un partito più estremista, i postfascisti non tanto post della Meloni. Dal labirinto non si esce così facilmente.