L'incomunicabilità del grillino
Guardando alla vicenda Bonafede e Di Matteo, più che Antonioni verrebbe voglia di citare “Scemo & più scemo”, ma la buona educazione ci raccomanda di fermarci al nenniano “Puro & più puro”
Mettere d’accordo Filippo Facci e Marco Travaglio è quasi altrettanto difficile che mettere in disaccordo Fofò Bonafede e Nino Di Matteo, eppure sono successe entrambe le cose, e per giunta i due fenomeni si sono verificati contemporaneamente. La coincidenza ha del miracoloso. Scrive Travaglio: “Noi ovviamente non eravamo presenti ai tre colloqui (uno telefonico e due al ministero) intercorsi fra Bonafede e Di Matteo. E non ne conosciamo i particolari. Ma già due anni fa ci facemmo l’idea di un colossale equivoco fra due persone in buona fede”. Facci, da par suo, arriva più chirurgicamente al punto: “Insomma, le possibilità sono tre: o il ministro di area grillina mente, o il magistrato di simpatie grilline mente, oppure ci sono due tizi di area grillina incapaci di comprendersi tra loro quando parlano. L’area politica di appartenenza rende possibili tutte e tre le possibilità”. Ricapitolando: c’è stato un colossale equivoco fra due persone in buona fede incapaci di comprendersi tra loro quando parlano, anche se ci hanno provato per ben tre volte. Pare un film di Antonioni. Che sia o meno un reboot della trilogia dell’incomunicabilità, è chiaro a tutti che qui la faccenda si fa sempre più cinematografica. Ieri Il Bi e il Ba evocava lo schema del poliziotto cattivo e del poliziotto più cattivo. Oggi verrebbe voglia di citare una vecchia commedia con Jim Carrey e Jeff Daniels, “Scemo & più scemo”, ma la buona educazione ci raccomanda di fermarci prudentemente al nenniano “Puro & più puro”.