I nuovi re della giungla giudiziaria
A che serve la guerra intestina alla magistratura? A peggiorare la specie predatrice
Amici cari, stiamo alzando un po’ troppo il gomito con il wishful thinking. Lo so, è difficile non bersi a garganella l’idea che la lotta fratricida tra i nostri comitati di salute pubblica sia un caso di scuola di dialettica del giacobinismo, con gli incorruttibili che fanno a gara a spiccarsi le teste l’un l’altro finché sull’orizzonte nero di sangue si annuncia l’alba del Termidoro. Il pensiero è inebriante, non lo nego, ma quando osservo da sobrio i casi recenti – la spy story del Csm e di Palamara, la gag ioneschiana tra Di Matteo e Bonafede, l’arresto del procuratore capo di Taranto – la lezione che ne traggo è meno confortante. Ricordate quel pezzo di repertorio di Piercamillo Davigo, cavallo di battaglia del suo cabaret giudiziario in tv? Dice che, in natura come in magistratura, la funzione degli animali predatori è migliorare la specie predata: catturano le zebre lente della corruzione, lasciano sul campo le più abili e imprendibili. Ebbene, temo che la legge della giungla, applicata alla giungla della legge, segua non solo per le zebre ma anche per i predatori una logica affine, ancorché capovolta. A trarne beneficio, quando cala il sole, sono i magistrati delle torme più feroci, come la davighiana Autonomia e Indipendenza, e con loro quei pm fuori branco che però abbiano cura di catturare le loro prede in una radura ben illuminata dai mezzi d’informazione, dove nessuno si arrischierebbe ad azzannarli. E così, i nuovi re della giungla sono i Davigo, i Di Matteo, i Gratteri. A che serve, allora, la guerra intestina giudiziaria? A peggiorare la specie predatrice.