Toghe rosse e calzini turchesi
Per anni la magistratura ha potuto raccontare bugie sul proprio conto, protetta dall’abito austero che le avevano cucito addosso; ora che i vestiti nuovi dell’imperatore non sono neppure così nuovi accade il prodigio inverso
Scrive Cervantes che la pena del bugiardo, condannato a non esser creduto neppure se dice il vero, ha come altra faccia la gloria dell’uomo ben reputato, a cui si presta fede persino quando mente. E' la tagliola in cui si è infilata la nostra magistratura. Per anni ha potuto raccontare grandiose bugie sul proprio conto, protetta dall’abito austero che le avevano cucito addosso le sue tricoteuses; ora che i vestiti nuovi dell’imperatore non sono neppure così nuovi, e anche i cortigiani più ciechi ne vedono spuntare le pudenda, accade il prodigio inverso: la magistratura messa a nudo indica le sue vergogne, e quelli continuano a guardare altrove. “Oggi le bugie non le posso più dire”, ha confessato Palamara in un lungo interrogatorio-supplizio televisivo, dove ha provato anche a spiegare che le famigerate parole contro Salvini erano, semmai, parole in favore del collega che indagava Salvini. Il quale Salvini, beninteso, ha tutte le ragioni per diffidare di Palamara, ma ha tutti i torti nel definirle “dichiarazioni surreali” e “scuse tardive”. Sono semmai autoaccuse, e fin troppo realistiche. Palamara ha fatto intendere quel che alcuni di noi sapevano e predicavano da anni: che a muovere i magistrati, al di sopra di qualunque inclinazione ideologica, è la logica implacabile della corporazione. In suo nome, quasi tutto è lecito – promuovere gli immeritevoli, far quadrato intorno agli indifendibili, condannare gli innocenti. Questa è la nuda verità. Ma è una verità spaventosa. E infatti le sartine dell’affabulazione, con poca fantasia, si sono affrettate a cucirle addosso toghe rosse e calzini turchesi.