Alfredo Biondi e il festival del fariseismo che si oppose al suo decreto
Nel luglio 1994 venne officiata una specie di messa funebre propiziatoria in piazza Farnese contro quello che era definito "salvaladri". Si consoli l'ex ministro: il suo funerale sarà migliore
Dei morti non si dice che bene; in compenso si può dir male dei nemici del morto, e questa strada secondaria è più adatta a chi, per indole o per riserbo, sia refrattario ai panegirici. Giorgio Bocca, nella primavera del 1993, coniò per Alfredo Biondi un epiteto destinato a lunga fortuna: garantista peloso. Lui replicò, inappuntabile: “Che io sia peloso l’avrà saputo da sua sorella”. Il teppismo istituzionale del pool di Milano si accanì molto sulla statua dell’avvocato, quand’era ministro della Giustizia. Il grande inquisitore Borrelli osò dargli velatamente dell’alcolista. Contro il decreto che portava il suo nome mandarono in tv il bambinello Di Pietro, affiancato da Davigo e Colombo a mo’ di bue e asinello (assegnate voi le parti), a leggere un piagnucolante comunicato in odore di eversione. E per seppellire il “salvaladri” (conio giornalistico da travaglismo ante Travaglio) i progressisti convocarono, nel luglio 1994, una specie di messa funebre propiziatoria in piazza Farnese. A riascoltarla oggi dà il voltastomaco: un festival del farisaismo – officianti D’Alema e Cesare Salvi – inaugurato da Raffaele Bertone (l’ex capo dell’Anm contro cui Tortora ebbe l’ultima sfuriata televisiva prima di morire) che inneggiava alla vittoria dell’Italia giovane e onesta. Seguivano fior di magistrati e avvocati, dediti senza vergogna a suscitare i risolini della piazza sottolineando quanto fosse improprio citare Beccaria nel paese di Poggiolini, per poi chiudere in grande stile con “Bella ciao”. Si consoli, il caro Biondi: qualunque funerale gli facciano, sarà meglio di quello che fecero al suo decreto.