Siamo bestiacce
Non c’è voce del nostro lessico attuale su cui "Lo sciame umano" non abbia qualcosa di imprevedibile da dire
Un signore entra in un caffè. E’ l’inizio di tante barzellette; la più fulminante prosegue con una sola parola – splash! Il biologo Mark W. Moffett l’ha tirata un po’ più per le lunghe. “Un uomo che entra tranquillamente in un bar è una delle cose più sorprendenti della storia dell’evoluzione”, scrive in “Lo sciame umano. Una storia naturale delle società” (Einaudi). La capacità di stare a proprio agio tra estranei è uno dei vanti della nostra specie, insieme alla stazione eretta e al pollice opponibile. Un gorilla che entrasse in un caffè non chiederebbe un Crodino, ma passerebbe all’attacco o fuggirebbe a gambe levate, suppone Moffett. Ecco perché i bar per scimmie non esistono, e se esistevano sono tutti falliti. Se le nostre risse sono più rare è perché facciamo uso di un sistema raffinato di marcatori d’identità, che ci consente di catalogare gli estranei e di formare vaste società anonime – come le supercolonie di formiche, di cui Moffett è specialista. Consiglio di leggere “Lo sciame umano” come una imponente glossa a “Massa e potere”, anche se Moffett non menziona mai Canetti e segue tutt’altre vie, che ricordano il Jared Diamond di “Collasso”. Non c’è voce del nostro lessico attuale – i raduni, il distanziamento sociale, l’integrazione dei migranti, gli assalti ai monumenti, gli inni nazionali di cui non si ricordano le parole, il pregiudizio antitedesco, l’emergere delle leadership, le bande di linciatori, le cerchie dei social network – su cui non abbia qualcosa di imprevedibile da dire. Qualcosa di poco incoraggiante, il più delle volte. Bestiacce che siamo.