L'eccezione italiana
Se guardiamo ai risultati elettorali in Polonia e Francia possiamo constatare le prime intermittenti avvisaglie di rinsavimento. Da noi invece il quadro è angosciante (ma non nuovo)
Sarebbe temerario parlare di guarigione o anche solo di convalescenza, ma se studiamo a mente fredda alcuni segnali – il lumicino di speranza che si è acceso in Polonia, dove Duda dovrà quanto meno spuntarla al ballottaggio; il risultato deludente di Marine Le Pen alle municipali di domenica in Francia; il calo di popolarità, si spera irreversibile, dei due untorelli del coronavirus, Boris Johnson e Donald Trump – possiamo cautamente constatare che il paziente dà le prime intermittenti avvisaglie di rinsavimento. Questo a voler vedere il bicchiere mezzo pieno. Nel bicchiere galleggia però una penisola distopica, tuttora sballottata da ondate fangose e cariche di detriti. In questo luogo dove ogni logica è capovolta, la classe politica si divide, rilutta e traccheggia sulla faccenduola del Mes, col rischio di scialacquare miliardi di risparmio sugli interessi, ma si unisce nel perseguire quello che ritiene il supremo interesse nazionale: togliere qualche spicciolo di tasca a un pugno di ex parlamentari novantenni. Il quadro è angosciante, ma non è nuovo. Lo aveva tratteggiato Massimo Bordin il 25 aprile di tre anni fa, dopo le elezioni presidenziali in Francia: “Alla fine quello che può colpire è come, pur in una situazione di grande instabilità politica in tutto il continente, la vera ondata, più che populista schiettamente antiparlamentare e antidemocratica, si manifesti solo in Italia. Del resto già un’altra volta l’Italia è stata in Europa la eccezione, esportata anche con un certo successo. Negli anni Venti”. Anni Venti in cui, per inciso, siamo appena rientrati.