Profezie sulla magistratura di un falso profeta
Un passo citatissimo di Sciascia e due possibili scenari futuri "da inferno"
Profetico è l’aggettivo più usurato che si possa associare a un intellettuale, secondo forse solo a scomodo; ma quando c’è di mezzo l’annuncio del giudizio finale, è fin troppo chiaro che siamo nel terreno dell’apocalittica, che è appunto pertinenza dei profeti. Un passo citatissimo di Sciascia: “Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli”. Il giorno del giudizio doveva essere il referendum sulla responsabilità civile, ma sappiamo come va di solito con le profezie: il loro orizzonte si allontana a ogni passo, e il gioco dilatorio può andare avanti per millenni. Il referendum Tortora non fu il dies irae sperato da Sciascia, anzi: da lì in poi la superbia degli angeli togati si è fatta più luciferina. Oggi appare evidente a molti, non solo a quelli di noi che già lo predicavano nel deserto, che il potere dei magistrati così com’è venuto a configurarsi in Italia dopo il peccato originale del 1992 non è compatibile con la vita di un paese che si pretenda civile. Quel che non è ancora chiaro, ma presto lo sarà, è che la magistratura non si limiterà certo motu proprio né accetterà di farsi riformare con le buone. Resteranno allora due vie, dirette entrambe all’inferno: che un potere dispotico la riformi a brutto muso, alla polacca o all’ungherese; che con quel potere essa stringa invece un patto di ferro. L’incubo del governo gialloverde ci ha fatto intravedere fugacemente ma nitidamente tutt’e due le vie. Fortuna per voi che sono un venditore di almanacchi, un falso profeta.