I demoni di Galli della Loggia
L'editorialista del Corriere ha accusato le "turbe di giovani" che, a suo dire, starebbero volontariamente diffondendo il contagio: l'avrà presa sul personale?
Quand’ero bambino, nei primi anni Ottanta – ricordate? avevamo tutti un walkman nelle orecchie, guardavamo l’Uomo Tigre e versavamo la paghetta su un conto alle Bahamas –, sentivo mio papà dire per scherzo che ormai erano rimaste solo due cariche a vita: il Papa e il segretario del Pci. La seconda sfumò presto. Morì Berlinguer, dopo di lui arrivò Natta che però si dimise, e nel giro di pochi anni non c’era più nemmeno il Pci. Ancora qualche lustro e accadde l’impensabile: il primo Papa dimissionario. Le mie stelle fisse vacillarono. Ma non mi aveva detto, mio papà, che esisteva una terza carica vitalizia: l’editorialista del Corriere della Sera. Alcuni sono meritatamente nella Hall of Fame dei venerati maestri e ce li teniamo cari, beninteso; altri però si accaniscono a commentare con sempre più pressappochismo e supponenza un mondo che hanno smesso di capire molto tempo fa, e che neppure sembra incuriosirli granché. So di essere sulla china di un argomento spiacevole, ma non ci sono parole piacevoli per il grottesco articolo di ieri di Galli della Loggia, dove le “turbe di giovani” delle periferie erano descritte con toni da “Demoni” di Dostoevskij: dei posseduti assetati di rivalsa e di spirito di distruzione, mossi dal “torbido proposito di seminare il contagio, di infettare la società ‘per bene’”. Conoscendo i miei polli e i miei Galli – ricordo un articolo dove lamentava l’assenza di coperte extra negli hotel come segnale di una “modernità totalitaria”, perché probabilmente aveva avuto freddo la notte – devo supporre che uno dei demoni del Covid gli abbia sputato sul citofono.