L’abitudine di infilare il ritratto di Marco Pannella nell’album di famiglia dell’antipolitica lega i rampolli di famiglie diversissime: la comunista (specie col catto- davanti ai buoi), l’azionista (e qui bisogna aggiungerlo: torinese), la conservatrice (tendenza Del Noce). Per sparigliare le carte, farò l’avvocato del diavolo: è vero, qualcosa dell’attuale antipolitica viene anche da Pannella. Ma cosa? Ricordo che Massimo Bordin una mattina s’imbatté in uno di questi genealogisti, secondo cui le pulsioni antipolitiche dell’elettorato si erano spostate dai radicali ai grillini. “E’ come passare dal bisturi alla mannaia”, commentò Bordin. Metafora precisissima, perché Pannella aveva affilato le lame grossolane dei qualunquisti per farne uno strumento di guarigione anziché di mattanza. Non per caso non varcò mai alcune soglie simboliche: il referendum propositivo, il linciaggio mediatico-giudiziario, l’irresponsabilità di bilancio. A costo di beccarsi lui pure sputi e monetine. E tuttavia, insinua ancora l’avvocato del diavolo, è possibile che campagne come quella contro il finanziamento pubblico o contro il consociativismo abbiano dissodato il terreno per l’antipolitica a venire? E’ possibile, sì; ma la lotta si fa al lanternino di ciò che si vede e s’intravede: ossia il presente, il futuro prossimo, gli insegnamenti incerti del passato. Poteva sapere, Pannella, che il suo bisturi decenni dopo sarebbe ridiventato mannaia? No che non poteva. E quando infine lo ha saputo, anziché consegnarsi al rito inquisitorio-stalinista dell’autocritica, si è rimesso pazientemente al pedale della sua mola da arrotino. E’ proprio per amore del suo bisturi che voterò no alla mannaia.
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