Carofiglio e Calenda, supplenti giornalisti
Lo scrittore a Di martedì spunta una dopo l’altra tutte le armi retoriche di Matteo Salvini. Il leader di Azione a Otto e Mezzo blocca tutte le uscite di sicurezza della demagogia di Toninelli. Così si dovrebbe condurre un talk-show
Magari fosse vera la congettura di Lamarck, e il bisogno di mangiar foglie dagli alberi più alti facesse spuntare anche a noi un collo vertiginoso da giraffa. Rassegniamoci, la funzione non crea l’organo. Ciononostante è bello sognarlo. Circola da giorni un video in cui Gianrico Carofiglio, ospite a “DiMartedì”, spunta una dopo l’altra tutte le armi retoriche di Matteo Salvini via via che questi accenna a sguainarle, impedendogli in questo modo di servirsene: i sospiri, gli occhi al cielo, le moine vittimistiche, la proterva strafottente elusione del merito di tutte le domande.
Qualche giorno prima, a “Otto e mezzo”, Carlo Calenda aveva fatto qualcosa di simile, ancorché di più irruento e al dunque meno efficace, con Danilo Toninelli: tentare di bloccargli tutte le uscite di sicurezza della demagogia e costringerlo a rispondere alle domande.
Qual è il senso dei due episodi? Semplice: Carofiglio e Calenda hanno fatto ciò che avrebbero dovuto fare Floris, Gruber e gli altri conduttori di talk-show: pretendere che personaggi con responsabilità pubbliche argomentino in modo ragionevolmente leale e ragionevolmente rispettoso dei fatti.
Anche senza arrivare ai cabotin di Rete 4, ormai diamo per scontato che il lavoro del conduttore non includa le cose piccole e oneste tentate da Carofiglio e Calenda, e questa è una delle principali ragioni del disastro in cui siamo. I due supplenti ci hanno mostrato la funzione, e il disperato bisogno che ne abbiamo. Ma non illudiamoci di veder spuntare anche l’organo.