Il Bi e il Ba

L'attesa trentennale di Di Maio spiegata con Freud

Guido Vitiello

Il ministro degli Esteri aspettava "questo momento da trent'anni". L'espediente retorico di Casalino illumina la materia di cui è fatta la politica

Luigi Di Maio, trentaquattro anni compiuti a luglio, è uscito dalla sua cabina elettorale a Pomigliano dichiarando che aspettava questo momento da trent’anni. Che infanzia triste, ho pensato: io a quattro anni al massimo aspettavo Babbo Natale. Ma a pensarci meglio è una frase rivelatrice. Il voto è per molti un ritorno inaspettato all’infanzia, che si compie al termine di corridoi tappezzati di lavoretti di bambini, collage su cartoncini colorati, sedioline messe in pila.

 

E l’infanzia è il luogo dei desideri e dei rimpianti. In questa luce, osserviamo da vicino l’espediente retorico – così frequente da supporre che discenda da una precisa direttiva casaliniana – di annunciare, per ogni legge promossa dai Cinque stelle, che i cittadini la aspettavano da venti o trent’anni. Ovviamente non è così: mica passiamo le nostre vite a struggerci sulla Gazzetta Ufficiale. Ma il trucco persuasivo suggerisce che nell’urna ci attenda una sensazione molto piacevole: la liberazione che arriva dopo essersi troppo a lungo trattenuti. Il quadro comincia a chiarirsi, vero?

 

A quattro anni, il piccolo Di Maio era al tramonto di quella che Freud chiama fase anale, la fase in cui il bambino trae piacere dalla regolazione degli sfinteri. Politicamente, si può dire che non ne è uscito mai, e non è un caso se si è arruolato nelle vaffantruppen. La sua frase, freudianamente, si può dunque così decifrare: “Erano trent’anni che me la tenevo, ora finalmente l’ho fatta”. Il che illumina, se ancora ce ne fosse bisogno (e con tante scuse anticipate a Rino Formica), la materia secondo cui per Di Maio è fatta la politica.

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