Il Bi e il Ba
Il cortocircuito tra King Kong e Trump
Siamo al momento in cui i biplani dell’aviazione ronzano intorno allo scimmione, e in cui gli spettatori raziocinanti si augurano che King Kong avrà la bontà di deporre delicatamente sul cornicione l’ostaggio che ha in pugno
Un paio d’anni fa è saltato fuori che Don McGahn, ex consigliere legale della Casa Bianca, aveva affibbiato al presidente il nomignolo di “King Kong”, per via del suo temperamento vulcanico, dei suoi imprevedibili scoppi d’ira e della sua inclinazione alla lotta a mani nude. Ma era da molto prima, addirittura da prima che ottenesse la nomination come candidato repubblicano alla presidenza, che decine di vignettisti e illustratori si erano divertiti a ritrarre Donald Trump nei panni del grande scimmione – portato in catene davanti alla Casa Bianca anziché a Broadway, abbrancato all’Empire State Building, alla Trump Tower o alla Statua della Libertà.
L’ostinato cortocircuito tra King Kong e Trump, per chi conosca un poco la storia profonda dell’immaginario cinematografico americano, meriterebbe ben più di queste righe frettolose. A ogni modo, siamo al momento in cui i biplani dell’aviazione ronzano intorno allo scimmione, e in cui gli spettatori raziocinanti si augurano che (ove l’esito elettorale lo richiedesse) King Kong avrà la bontà di deporre delicatamente sul cornicione l’ostaggio che ha in pugno, ovvero la sua stessa carica, per poi precipitare nel vuoto.
Stiamo a vedere. Gli sceneggiatori intanto prendano nota, perché in questa coda del film s’intravede un possibile sequel, simile a “King Kong – Il gigante della foresta” (1967) del giapponese Ishiro Honda, dove la grande scimmia doveva vedersela con il suo clone robotico Mechani-Kong. È il duello di Trump con Twitter. Buona visione.