Il Bi e il Ba
Conte e l'arte del governare non governando
Il presidente del Consiglio è stato un maestro nell'accentrare surrettiziamente il potere disseminando però la responsabilità tra comitati tecnici, stati generali e cabine di regia parallele
Due cose gli italiani non perdonano: il parlar franco e l’assunzione di responsabilità. E’ come tracciarsi sul petto il bersaglio del capro espiatorio designato (vedi Craxi, che si macchiò di entrambe le colpe; vedi i suoi emuli dimezzati nella Seconda e Terza Repubblica). Non le perdonano perché rivelano, come un reagente chimico, l’elemento abituale in cui sguazza il potere a tutti i livelli micro e macro, ossia il non detto e il rimandato ad altri; e rivelandolo, rischiano di seminare la funesta eresia che le cose si possano amministrare altrimenti.
Sotto questo aspetto Conte ha capito tutto, e dal suo incredibile esempio un giorno si ricaveranno trattati sull’arte del governare non governando. Accentrare surrettiziamente il potere disseminando però la responsabilità tra comitati tecnici, stati generali, cabine di regia parallele e altre astuzie ispirate da quell’intelligenza diabolica che Augusto Frassineti chiamò Ministerialità, tutto questo è congeniale all’antropologia nazionale, così come lo era fino a tempi recenti la struttura organizzativa a scatole cinesi del partito di Conte, congegnata per lasciare i veri decisori nell’ombra e al riparo dagli attacchi: in questo senso, tra il M5s di piazza e il M5s di governo c’è perfetta continuità. Che sia una riedizione nichilista della Dc o una via paracula ai pieni poteri è presto per dirlo; in entrambi i casi, opporsi non sarà facile. Invece del Palazzo d’Inverno, i rivoltosi troverebbero la Casa che rende folli delle “Dodici fatiche di Asterix”, un labirinto burocratico dove finirebbero sballottati da uno sportello all’altro, da un piano all’altro, da un comitato tecnico all’altro, nella vana speranza di localizzare il cuore dello stato.