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IL BI E IL BA

I detenuti di Rebibbia portano in scena Dante, una lezione per la nostra classe politica

Guido Vitiello

Inscatolare senza distinzioni i propri simili in un generico inferno, variando la data di scadenza, è, prima che inumano, spaventosamente privo di fantasia

Cos’ha da dirci Leopardi sull’apocalisse climatica? E Foscolo sul dramma dei migranti? Niente, non hanno da dirci niente. Dio, che tormento le attualizzazioni dei classici, peggio ancora se a danno di incolpevoli scolaresche deportate in un teatro, con tanto di predica civile di qualche vip del mercato della pubblica indignazione. Che intollerabile strazio, con una sola eccezione: le carceri, la cui popolazione è refrattaria a certi osceni esibizionismi della virtù e quotidianamente alle prese con la stessa materia magmatica da cui è germinata la grande letteratura. Nel 1984 cinquanta detenuti di Rebibbia portarono in scena l’Antigone davanti alle alte cariche dello stato, e c’è da immaginare la tensione esistenziale serpeggiante sul palco o tra i creonti in platea, dove a ogni rintocco di Sofocle qualcuno si sarà sentito chiamare per nome e per cognome.

 

Ieri pomeriggio – un passato che è ancora futuro, per me che scrivo – i detenuti del reparto di Alta sicurezza G12 di Rebibbia hanno trasmesso in streaming le prove dello spettacolo “Dante Alighieri il latitante”. Leggo nel comunicato che “i detenuti-attori inventano un confronto ardito fra peccati e reati, gironi infernali e bracci penitenziari”. Non so se qualcuno degli sciagurati che calcano la scena politica nazionale li abbia ascoltati. Mi auguro che dalle sottigliezze del contrappasso e dall’arte di calibrare la pena sulla colpa avrà capito che inscatolare senza troppe distinzioni i propri simili in un generico inferno, variando la data di scadenza e poco altro, è, prima che inumano, spaventosamente privo di fantasia.

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