Il Bi e il Ba
Oltre la dissonanza cognitiva c'è la dodecafonaggine
Il segno spaventoso dell'epoca della post-verità è il venir meno di qualunque disagio nel dire o pensare cose contraddittorie, come dimostrano Trump e la sua filarmonica di malintenzionati
Il “Doktor Faustus” di Thomas Mann legò il trionfo di quella che oggi chiamiamo post-verità – ma che allora portava un altro nome: mito soreliano – alla dissoluzione del sistema tonale in musica. Da una decina d’anni l’occidente si è reimmesso nella coda di quel grande romanzo, perciò non abbiatene a male se un dilettante (tipo umano molto caro a Mann, del resto) pasticcia un poco con le analogie musicali, per lo spazio di una sonatina. Mi sono sempre chiesto perché lo psicologo Leon Festinger avesse scelto per la sua nozione più famosa, quella di “dissonanza cognitiva”, una metafora legata all’armonia. Forse la spiacevolezza dei suoni dissonanti all’orecchio dell’ascoltatore comune gli era parsa un buon equivalente del disagio che la mente prova in presenza di un’informazione nuova che stride con la propria visione del mondo e con l’immagine di sé. Ho però il sospetto che quella metafora stia invecchiando male.
Il segno spaventoso dell’epoca della post-verità è appunto il venir meno di qualunque disagio apparente nel dire o nel pensare cose contraddittorie, nel riempire disinvoltamente il proprio spartito di fatti alternativi, di sfacciati rimaneggiamenti di convenienza, di falsità rese indistinguibili dalle verità. Se volessimo restare nella traccia schoenbergiana del “Doktor Faustus”, dovremmo dire che stiamo assistendo alla piena “emancipazione della dissonanza”, e che Donald Trump e la sua filarmonica di malintenzionati, specie in queste ultime incredibili settimane che meriteranno anni di studi, ci stanno traghettando oltre la dissonanza e la consonanza, verso le sponde della dodecafonia cognitiva. O quanto meno della dodecafonaggine.