IL BI E IL BA
Il vichingo di Capitol Hill è la nemesi dell'America First
La tentazione di infilare il celebre sostenitore di Trump nella categoria "romanizzazione dei barbari" è molto forte. Ma quella foto indimenticabile merita un'altra didascalia e racconta un’altra storia, tutta americana
Avrei dovuto farmi ostrogoto? Se lo domandava nel 1925 Benedetto Croce, il primo a coniare la parola d’ordine, da qualche anno rimessa in circolo, della “romanizzazione dei barbari”. Forte è la tentazione di infilare in questa cornice il vichingo di Capitol Hill, ma quella fotografia indimenticabile merita un’altra didascalia e racconta un’altra storia, tutta americana, ripercorsa in un prezioso e ormai quasi introvabile libro di Matteo Sanfilippo, “Il Medioevo secondo Walt Disney” (Castelvecchi, 1993). Era stato a metà Ottocento lo storico e politico George Bancroft a capovolgere in positivo l’immagine dei barbari medievali, fino ad allora associati agli indiani d’America, e a farne un simbolo dei coloni in lotta per la libertà e l’uguaglianza contro un Impero corrotto: Drain the swamp!
Quanto alla cultura di massa, va pur detto con un certo orgoglio patriottico – #ItalyDidIt – che nel personaggio del barbaro muscoloso c’è lo zampino italiano: i nostri Ursus e Maciste vennero ricapitolati negli anni Trenta nell’americano Conan (dopotutto Jake Angeli è un mezzo compaesano, no?), salvo poi tornare in patria con Abatantuono-Attila. A differenza degli unni, però, i vichinghi sono barbari speciali. Dagli anni Trenta dell’Ottocento – con le Antiquitates Americanae dello storico danese Rafn – si diffuse la teoria della scoperta vichinga dell’America, destinata a una ininterrotta fortuna cinematografica e fumettistica. Quei barbari non erano dunque solo un’immagine dei coloni: erano letteralmente i primi veri americani. Morale della favola? Se parti con “America First” e lo prendi molto alla lettera, procedendo a ritroso è fatale che ti ritrovi con i vichinghi al Campidoglio.