Leonardo Sciascia con amici a passeggio a Racalmuto, il suo paese natale (foto Wikipedia)

Il Bi e il Ba

Il "fratello maggiore" Sciascia

Guido Vitiello

Dalla Sicilia alla Sicilia. La magistratura dell'isola letta attraverso l'opera del grande scrittore a cent'anni dalla nascita, nell'ultimo libro pubblicato dall'omonima casa editrice

I magistrati siciliani leggono Sciascia? Alcuni di sicuro leggono i titoli (memorabile il dottore Ingroia, allora candidato, sulla disponibilità alle alleanze: “Io faccio come quel bel libro di Sciascia: ‘Porte aperte’”). Altri li aprono pure, e Andrea Apollonio – sostituto a Patti, sebbene non siciliano – ha raccolto in un bel volumetto, “Verità impossibili” (Salvatore Sciascia), i pensieri di una decina di loro, alcuni dei quali ben noti alle cronache – Giovanni Salvi, Roberto Scarpinato, Lia Sava, Luigi Patronaggio, Dino Petralia. L’intento del curatore era quello di rendere i magistrati, tramite Sciascia, “commentatori di se stessi”.

 

Possiamo dire che gli è riuscito solo per vie molto sbieche. E’ evidente che il canone sciasciano del magistrato privilegia il romanziere fantapolitico in odore di paranoia (“il Potere è sempre altrove”), il conoscitore della mente mafiosa, al limite il manzoniano caritatevole di “Porte Aperte”; e respinge ai margini lo Sciascia radicale, che denunciava le vie d’ingresso alla corporazione, il godimento di un potere terribile che si dovrebbe patire, la riluttanza ad ammettere l’errore. Solo per queste vie Scarpinato può chiamare Sciascia “fratello maggiore”. Poi, per lapsus calami, una parolina del procuratore Salvi nella prima pagina: Sciascia amava il giudice dubbioso, “non intravagliato col potere”. Intravagliato. Ecco.

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