Il Bi e il Ba
Anche la giustizia si aggrappa a Draghi
Se nemmeno il nuovo premier può far nulla, dovremo constatare che la democrazia italiana è ostaggio del capriccio dell’ultimo sostituto di provincia
Ha detto Paolo Mieli a Radio 24 che se Draghi sulla Giustizia fa sul serio “qualche pm, da qualche parte d’Italia, partirà con un’inchiesta”. Non ci sono ordini dall’alto, ci ha tenuto a precisare, c’è un automatismo: il lupo solitario di procura si muoverà in proprio, sapendo di contare sul consenso della corporazione. E’ esattamente così che funziona da trent’anni. Questo automatismo, aggiungo, ha una sinistra affinità con il cosiddetto “terrorismo stocastico”. In quel caso, un capo demagogico lancia un’incitazione generica e ambigua contando sulla probabilità che qualcuno, nella sua platea di simpatizzanti, la prenda alla lettera e passi alle vie di fatto. Qui invece il “trigger” è azionato indirettamente da quello che finirà per esserne il bersaglio: se si avvicina ad alcuni fili, tutti peraltro aggrovigliati – obbligatorietà, colleganza tra pm e giudice, indipendenza irresponsabile, meccanismi di carriera – è statisticamente probabile che una cellula dormiente in una procura qualunque si svegli e faccia detonare l’ordigno. Motivo per consigliargli prudenza? Al contrario. Draghi ha oggi il massimo dell’autorevolezza a fronte di una magistratura ridotta al minimo della reputazione. Se nemmeno lui può far nulla, dovremo constatare che la democrazia italiana è ostaggio del capriccio dell’ultimo sostituto di provincia. E qualcosa dovremo pur fare.