Da sinistra: Nicola Fratoianni, Pietro Grasso, Pippo Civati e Roberto Speranza (Ansa)

Il Bi e il Ba

Una scissione è per sempre

Guido Vitiello

In Italia è facile scindersi, ma una volta separati, anche se vengono meno le ragioni della divisione, è pressoché impossibile tornare indietro. Come insegna la storia, o il caso emblematico del Psu

La storia sarà pure magistra di qualcosa. I federatori dei riformisti e dei liberali (che hanno, per quel che conta, il mio sostegno) e i federatori, a sinistra, dei progressisti farebbero bene a ricordare una triste verità: in Italia è facile scindersi, ma una volta scissi, anche se vengono meno le ragioni della scissione, è pressoché impossibile tornare indietro. Il caso paradigmatico è quello del Psu, nel lontano 1966, che avrebbe dovuto riunire Psi e Psdi: l’amalgama riuscì così male che i partiti mantennero due segretari, e il simbolo unitario era fatto dai due simboli affiancati come ruote (passò alla storia come il partito della “bicicletta”).

 

Oggi a sinistra circola il sempiterno scioglilingua, una cover politichese di “Imagine” di John Lennon: “You may say I am a dreamer, ma dobbiamo superare gli steccati per creare un vasto campo unitario e plurale attraverso una fase costituente che coinvolga la società civile…” ma già si è capito, per esempio, che Leu non ci pensa neppure a tornare alla casa madre. Una scissione è per sempre. Che fare allora? Può suonare darwiniano, ma l’unico processo unitario che funzioni è quello in cui un leader emerge in modo abbastanza forte da svuotare, di defezione in defezione, i partiti concorrenti, fino a lasciarli con in mano solo il simbolo. Peccato che leader del genere non se ne vedano, né al centro né a sinistra.

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