Vladimir Putin e il romanzo che ancora manca
Le ossessioni antioccidentali del dittatore russo hanno origini antiche e un obiettivo: seminare il caos
Passati i convenevoli – “Assassino!”; “Chi lo dice sa di esserlo!” – c’è da sperare che il nuovo corso americano segni un momento della verità sulle campagne del regime di Putin per sovvertire le democrazie occidentali, e che il cono di luce si allarghi fino a includere la nostra sciagurata penisola, dove è evidente che abbiamo poca voglia di far chiarezza da soli. Che scopo avevano, queste campagne? Qual era la loro natura profonda? Sarebbe materia per un grande romanzo, che però non esiste ancora. La cosa che più ci si avvicina è un saggio della storica francese Françoise Thom, “Comprendre le Poutinisme” (Desclée de Brouwer, 2018).
Le ossessioni antioccidentali di Putin, dice Thom, sono l’eruzione di un magma antico e incandescente, mai sopito sotto la crosta burocratica sovietica: il nichilismo rivoluzionario sorto in Russia negli anni Settanta dell’Ottocento. L’appello alla difesa della Tradizione, dell’Europa e del Cristianesimo potrà anche abbindolare nella nostra parte del mondo qualche conservatore particolarmente povero di spirito, ma è un mascheramento del movente principale del Cremlino: che non è estendere l’influenza, ma radunare una “internazionale del risentimento” per seminare il caos. Al mio ipotetico romanzo a venire metterei per epigrafe il brindisi de “L’agente segreto” di Conrad: “Alla distruzione di quello che è”.