il bi e il ba
Come convincervi ad assaggiare una cotoletta sintetica di pangolino
Che si tratti di carne fatta in laboratorio, di intelligenza artificiale, di gestazione per altri o di questioni di genere, il ricorso alla legge nasconde l’illusione di poter rimettere un po’ di ordine tra le categorie di un mondo che sembra finito fuor di sesto
E se organizzassimo, per il fine settimana, una bella grigliata rituale a base di carne sintetica di pangolino cinese? Lo so che può sembrare una proposta stravagante, ma prestatemi qualche minuto della vostra attenzione e vi garantisco che domenica sarete tutti in fila davanti al mio barbecue, con un piatto di plastica in mano e un tovagliolo al collo. I pasti totemici sono un ricordo di civiltà remote e non voglio certo giocare allo sciamano o allo stregone tribale, ma la formula di elegante concisione con cui Serena Sileoni, sul Foglio di venerdì, ha presentato lo strano caso del disegno di legge sulla carne sintetica – “Mettere al bando ciò che non esiste sulla base di ragioni che non esistono” – dovrebbe farci subito intuire che ci troviamo su un terreno religioso e demonologico prima che laico e giuridico. Insomma, roba da primitivi.
Leggendo l’articolo 2 del ddl, che proibisce qualunque uso di “alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati”, non ho potuto fare a meno di avvertire echi degli intricatissimi sistemi di tabù alimentari dell’Antico Testamento: “Non mangerete nulla di abominevole”, prescrive il Deuteronomio. “Tra i ruminanti e tra quelli che hanno lo zoccolo spaccato e diviso, non potrete mangiare il cammello, la lepre e l’irace poiché ruminano, ma non hanno lo zoccolo spaccato. Per voi essi sono animali impuri”. Qualcuno obietterà che gli antichi israeliti erano comunque un pezzo avanti a noi, perché il Levitico consente di mangiare i grilli (anche, suppongo, sotto forma di farina). Ma la vera notizia sta nel ritorno in grande spolvero, senza nessun infingimento moderno o travestimento secolare, dei venerandi antenati delle nostre categorie giuridiche: alle spalle del lecito e dell’illecito si profilano infatti le ombre dense di due nozioni ancestrali, il puro e l’impuro.
E qui tocca rimettere mano a un piccolo classico dell’antropologia scritto negli anni Sessanta, Purezza e pericolo della britannica Mary Douglas, pubblicato in Italia dal Mulino. Le idee del puro e dell’impuro, in tutte le civiltà ma più vistosamente in quelle arcaiche, non sono legate soltanto a preoccupazioni di igiene e a timori di contaminazione; sono anche un criterio efficacissimo per dare un ordine al mondo sociale, per tenere ben distinte le categorie su cui si fonda, per preservarne i confini interni ed esterni. Il fantasma della bistecca sintetica mette in allerta la nostra mente primitiva non già perché possa portarci chissà quali malattie post umane, ma perché ingarbuglia un po’ troppo le categorie del naturale e dell’artificiale (che di fatto sono ingarbugliate da alcuni millenni, ma tant’è). Non è strano, allora, che si invochi il principio di precauzione, che sotto la superficie giuridica cela anche un fondo apotropaico. Scriveva Douglas nell’introduzione alla nuova edizione del libro che la minaccia della contaminazione è anche una potente risorsa giudiziaria, un’arma per la coercizione reciproca: “Non c’è niente che possa stare alla pari con essa per convincere i membri della comunità dei loro doveri”.
Veniamo così al pangolino, accusato (a quanto pare ingiustamente) di averci trasmesso il Covid con uno spillover sul confine tra altre due categorie fondamentali, l’umano e l’animale. Non fraintendetemi, non sto comparando la carne sintetica alla pandemia, nel secondo caso si trattava di una risposta reale a un pericolo reale, anche se è una risposta che in varie parti del mondo ha avuto tratti di “coercizione reciproca” non del tutto razionali. Ma forse vale la pena riflettere su una coincidenza che riguarda questa insolita bestiola. Per la tribù Lele del Congo, ricorda Douglas, il pangolino era un “mostro benigno”, tributario di uno strano culto. La ragione di questo status speciale è che si trattava di un animale, diremmo noi oggi, decisamente queer: “La sua esistenza contraddice tutte le più ovvie categorie animali: ha le squame come un pesce ma si arrampica sugli alberi; è più simile a una lucertola ovipara che a un mammifero, eppure allatta la prole”. Il caos che può portare nell’ordine sociale e mentale è senza pari. E allora, in un rituale, gli iniziati del culto del pangolino, immuni dai pericoli che potrebbero colpire i non iniziati, “uccidono l’animale che, nel suo essere, combina tutti gli elementi che la cultura Lele tiene separati”. Dopodiché lo cucinano e lo mangiano in un bel pasto totemico.
Ora, lungi da me la pretesa di gettare spericolati ponti congetturali tra contesti remotissimi, tanto più che non sono un antropologo; chi volesse camminare su un ponte più saldo e seguire il tracciato che dalle impurità rituali primitive porta ai totalitarismi del Ventesimo secolo non ha che da leggere un piccolo libro di Barrington Moore Jr., Le origini religiose della persecuzione della storia (Sellerio), che si rifà al classico di Douglas in chiave politica. Eppure, da profano, c’è uno schema ricorrente che mi colpisce, e che non riguarda certo solo l’Italia. Che si tratti di carne sintetica, di intelligenza artificiale (vedi la lettera per metterne in pausa lo sviluppo), di gestazione per altri o di questioni di genere, la messa a repentaglio di alcune categorie portanti del nostro mondo (naturale/artificiale, umano/robotico, maschile/femminile) ispira, come prima risposta, un uso simbolico – o forse dovremmo dire esorcistico – del diritto penale, che è costretto tuttavia a prendere la forma di uno scongiuro impotente. Intendiamoci, in alcuni ambiti si legifera in base a timori tutt’altro che infondati (il caso più vistoso è la transizione ormonale-chirurgica dei minori); ma dietro alle preoccupazioni ragionevoli, o perfino doverose, si avverte anche la spinta frettolosa e angosciata a rimettere ordine tra le categorie di un mondo che sembra finito fuor di sesto. Il diritto è così indotto a tradire la sua prima radice arcaica e rituale.
Capite bene che, stando così le cose, una bella cotoletta di pangolino sintetico con panatura di farina di grillo è più che mai appropriata. Ora chiedo la ricetta a ChatGPT, e vi aspetto domani al mio mistico barbecue.