Durazzo, lungomare con i bunker (LaPresse)

il bi e il ba

Gli intellettuali occidentali e quell'amore proustiano per il comunismo

Guido Vitiello

Paul Hollander smaschera l'infatuazione ideale per rivoluzioni lontane e sconfitte. Una dedica alla scrittrice albanese Anita Likmeta, che ha fatto indignare tanti lettori italiani con il suo "Le favole del comunismo"

Paul Hollander, nell’ormai classico “Pellegrini politici”, ci ha mostrato che gli intellettuali occidentali amanti del comunismo erano in fondo degli inguaribili proustiani: “Ammirare le rivoluzioni sconfitte ha gli stessi vantaggi che amare a distanza una bella donna (o un uomo), il cui fascino non è mai stato verificato condividendo un letto, un bagno o una cucina”. L’essenziale è che l’amata sia molto lontana, come la Cina; o che, pur vicina, non si sappia niente di lei, salvo dicerie più o meno favolistiche. Nelle stesse pagine Hollander raccontava un aneddoto illuminante. Negli anni Settanta, un visitatore presso un’università scandinava aveva chiesto agli studenti quale fosse il loro paese ideale, e con sua grande sorpresa si era sentito rispondere: l’Albania. “Nessuno degli studenti aveva una qualche conoscenza delle condizioni dell’Albania, nessuno era stato lì o aveva il più pallido desiderio di andarci, ma l’Albania era, con tutto ciò, il nome della loro utopia”. A quanto pare quei ragazzi – in questo ancora più proustiani – si erano innamorati semplicemente del suono evocativo di un nom de pays.

Dedico queste righe alla scrittrice albanese Anita Likmeta, autrice del romanzo “Le favole del comunismo” (Marsilio), che non riesce a capacitarsi del perché il suo libro, fin dal titolo, abbia fatto infuriare tanti lettori italiani.

Di più su questi argomenti: