Ansa

il bi e il ba

Solo per risentimento politico non si è riconosciuta al Cav. la dignità di un Don Giovanni

Guido Vitiello

Per la sua titanica spinta vitale non avrebbe esitato a invitare il Commendatore a una cena elegante. Di Mozart in giro non se ne vedono, ma un Lorenzo Da Ponte c’è già: è Filippo Ceccarelli con il suo "B"

È tempo che Berlusconi occupi il posto che gli spetta, ossia il palco di un teatro lirico. Eugenio Scalfari lo paragonò una volta al dottor Dulcamara, il medico ambulante dell’“Elisir d’amore” di Donizetti (forse per via della barcarola “Io son ricco, e tu sei bella”; o forse solo per il talento di imbonitore). Franco Cordelli, in un libro ristampato proprio in questi giorni, scelse invece di calarlo nei panni del Duca di Mantova, il tirannico libertino del “Rigoletto” verdiano, prototipo del “tenorile ‘gallismo’ italiano” (così il sommo musicologo Massimo Mila). Approssimazioni plausibili, e tuttavia un po’ meschine. Sospetto che un risentimento politico insormontabile abbia trattenuto Scalfari e Cordelli dal riconoscere a Berlusconi la dignità tracotante, ma pur sempre eroica, di un Don Giovanni. Eppure, il nostro Don Silvio ebbe più di un Leporello (al più noto affidò un tg); sedusse più di una Zerlina, la contadinotta scaltra ben felice di farsi abbindolare; incappò nelle sfuriate di più di una Donna Elvira, nei piani di vendetta di più di una Donna Anna. Schiere di imbelli come Don Ottavio, pur faticando a credere “di sì nero delitto / capace un cavaliero”, non ebbero l’animo di sfidarlo a viso aperto e preferirono affidarsi alla Procura o al 112 (“un ricorso / vo’ far a chi si deve”). E per la sua titanica, vorace spinta vitale non avrebbe esitato a invitare il Commendatore a una cena elegante, certo di poter ammaliare anche la morte. Di Mozart in giro non ne vedo, ma un Lorenzo Da Ponte c’è già. È Filippo Ceccarelli, e il suo libretto si chiama “B”.