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Editori disperati che sperano di monetizzare il femminismo instagrammabile

Guido Vitiello

Salvo felici eccezioni, la macchina editoriale italiana è impegnata a tradurre dall’America le femministe più vacue e a pubblicare, tra le autoctone, le meno attrezzate, le orecchiatrici di mode e di slogan

Per essere un maschio, mi considero un discreto lettore di teoria femminista. La curiosità culturale mi spinge a inseguire soprattutto autrici radicalissime e implacabili – diciamo delle Otto Weininger a parti invertite – o a ricostruire capitoli affascinanti di storia delle idee come la ricezione novecentesca dell’opera di Bachofen sul matriarcato. Per congenialità politica, invece, frequento le femministe liberali o libertarie americane e francesi, e naturalmente le gender critical britanniche. Questo perché ho la fortuna di leggere in altre lingue. In Italia, troppo spesso, questi panorami di intelligenza sono resi invisibili da coltri di nuvole e nuvolette aristofanesche, tanto fitte quanto inconsistenti, che ingombrano tutto il campo visivo. Salvo felici eccezioni, la macchina editoriale è impegnata a tradurre dall’America le femministe più vacue e a pubblicare, tra le autoctone, le meno attrezzate, le orecchiatrici di mode e di slogan. Così siamo inondati dai libroidi del “femminismo instagrammabile” (copyright Soncini), stampati da editori disperati e un po’ gonzi che prestano orecchio alla promessa del gatto e della volpe, ossia che i cuoricini dei follower si trasformeranno magicamente negli zecchini delle copie vendute. Per liberare il cielo della cultura da queste nuvole di banalità autopromozionali, di idee ricevute e di teorie mal formate, spira oggi un buon vento: esce infatti per Rubbettino un pamphlet di Annina Vallarino che s’intitola “Il femminismo inutile. Vittimismo, narcisismo e mezze verità: i nuovi nemici delle donne”.

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