Ansa

il bi e il ba

La regalità ha radici sacrificali. Nota alle parole non ambigue di Saviano

Guido Vitiello

“La storia politica insegna che il proiettile che manca il bersaglio lo rafforza”, ha detto lo scrittore. Vanno a braccetto con l'idea di René Girard per cui il re, in origine, è un capro espiatorio la cui immolazione è rimandata o incompiuta

Le parole di Roberto Saviano sull’attentato a Trump – “La storia politica insegna che il proiettile che manca il bersaglio lo rafforza” – sono in fondo meno ambigue di quanto abbiano voluto far credere i suoi detrattori professionali. Forse a Saviano era tornata in mente, come a molti di noi del resto, l’immagine del volto di Berlusconi insanguinato dalla statuina di Tartaglia, che accrebbe in effetti il suo potere simbolico. “Sono stato sacralizzato dall’attentato che ho avuto a Milano”, commentò lui con intuito etnologico sorprendente. A insegnare che “il proiettile che manca il bersaglio lo rafforza”, infatti, non è tanto la storia della politica quanto la sua preistoria, se prestiamo fede alle congetture di René Girard sulla regalità arcaica. Il re, dice Girard, in origine non è che un capro espiatorio la cui immolazione è rimandata o incompiuta. In vista dell’uccisione liberatoria, la comunità ne ha fatto un criminale, “un mostro che emana tenebrosa potenza”, la fonte di tutti i miasmi contagiosi. A questo punto, se la vittima è sacrificata si trasforma, da morta, in una divinità protettrice (e gli intitolano quanto meno un aeroporto); se la sua immolazione è rinviata, o se qualcosa nel rito va storto (il proiettile manca il bersaglio), la stessa “tenebrosa potenza” ne fa un re sacro, pronto per essere incoronato a novembre. Sono storie antichissime, che sentiamo giustamente estranee, perché la politica moderna ha avuto cura di sotterrare per bene le sue radici sacrificali. Ogni tanto, però, le cronache si incaricano di riportarle in superficie.

Di più su questi argomenti: