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Il Bi e il Ba

Aforismi carcerari in cerca d'autore

Guido Vitiello

Il grado di civiltà di un paese si misura osservando le condizioni delle sue carceri: un concetto espresso da Dostoevskij, Voltaire, Brecht o un ex galeotto canadese? Non importa, soprattutto perché è ancora estremamente attuale

Sentite che bella frase ho inventato ieri: il grado di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri. Splendida, vero? Già vi sento: “Ma non è tua, pallonaro, è di…”. Beh, di chi è? Molti assicurano che è di Dostoevskij, e citano anche la fonte: “Memorie dalla casa dei morti”; altri – ma sono in minoranza – ribattono che non è Dostoevskij, è Voltaire; una quota ancora più piccola la attribuisce a Brecht. Non è obbligatorio scegliere, però. In un libro sul carcere di qualche anno fa, l’autore si compiaceva della coincidenza che tre così grandi ingegni – per giunta in tre secoli diversi – avessero formulato lo stesso pensiero con parole quasi identiche!

Peccato che la frase non si trovi in nessuno dei tre. Da dove viene, allora? Il tentativo più erudito di rintracciarne la fonte lo ha condotto nel 2019 lo slavista Ilya Vinitsky. Non ha sciolto definitivamente l’enigma, ma ha lanciato una buona congettura. La frase proverrebbe dalla cerchia del commediografo ed ex galeotto canadese John Herbert, che negli anni Sessanta, presentando il suo dramma carcerario “Fortune and Men’s Eyes”, la ripeteva spesso nelle interviste, attribuendola a Dostoevskij. La pièce ebbe grande successo (centinaia di repliche, poi un film), e per qualche via la frase incriminata diventò uno dei motti dei movimenti americani per la riforma delle prigioni. Resta un dubbio: perché una citazione artefatta – ben poco in linea, oltretutto, con ciò che Dostoevskij pensava del carcere – ebbe tanta fortuna? Semplice: perché era bella, e perché era vera. Era vera nell’America degli anni Sessanta, è ancora più vera nell’Italia del 2024.

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