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il bi e il ba

"Il caso Yara" mostra la morfologia della fiaba giudiziaria italiana

Guido Vitiello

Il colpevole in pasto ai leoni del circo mediatico, le piste alternative accantonate, gli inquirenti che alzano la posta per non perdere la reputazione. Purtroppo, una trama così convenzionale che sembra creata dall’algoritmo di una piattaforma

Un delitto efferato sconvolge l’opinione pubblica. La procura indaga a trecentosessanta gradi, formula garbata e istituzionale per dire che gioca a mosca cieca. La scoperta di un dettaglio inequivocabile orienta le indagini in una direzione. Un colpevole è designato, messo in custodia cautelare e dato in pasto ai leoni del circo mediatico, che lo spolpano per mesi. Tutte le piste alternative sono accantonate: da questo momento in poi diventeranno irrecuperabili. Poi però salta fuori che il dettaglio inequivocabile non era così inequivocabile. Luminari dall’anglosfera sono consultati, si mettono le mani nei capelli, spiegano che la pietra angolare di tutta l’ipotesi accusatoria non era abbastanza solida da costruirci sopra neppure una capanna. Nel frattempo però gli inquirenti hanno puntato tutto il loro gruzzolo su quella sola casella, specialmente le fiches più preziose: quelle della loro reputazione. Alzano la puntata, si giocano tutto, confidando che i croupier della corte d’assise saranno impressionati dall’azzardo nonché atterriti dall’idea di vederli finire in rovina (dopo tutto sono colleghi). La corte si ritira per deliberare, e… Ma insomma, avete capito di quale caso sto parlando? Beh, beati voi, perché a me ne vengono in mente almeno una dozzina: è la morfologia della fiaba giudiziaria italiana. Una trama così convenzionale che sembra creata dall’algoritmo di una piattaforma. E infatti è su Netflix che troverete “Il caso Yara”, la docuserie di Gianluca Neri. Ne seguiranno altre, già sceneggiate dalle procure di tutta Italia.

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