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il bi e il ba

Proposta paradossale: qualche giorno di carcere obbligatorio per i magistrati tirocinanti

Guido Vitiello

È il contenuto della proposta di legge Sciascia-Tortora. Da firmare e rifirmare mille volte, anche se poggia su un fondamento contraddittorio: che il carcere possa in fin dei conti rendere migliore chicchessia

Nei giorni più infami del nostro sistema carcerario, mentre sale il conteggio dei suicidi e Rita Bernardini valuta uno sciopero totale della fame e della sete, mi domando a che punto sia la proposta di legge Sciascia-Tortora, di cui fui a maggio uno dei primi firmatari. Non perché mi illuda che possa essere approvata, beninteso: solo perché mi sembra utile parlarne. La proposta prevede per i magistrati in tirocinio l’obbligo di passare quindici giorni in carcere. A rigore, la legge è composta da un dodicesimo di Tortora (che nel libro “Cara Italia ti scrivo” proponeva sei mesi di prigione per i futuri magistrati) e dal quintuplo di Sciascia, che in un articolo sul Corriere della Sera del 7 agosto 1983 (poi raccolto in “A futura memoria”) si accontentava di tre giorni in galera. La ratio, per entrambi, era la stessa: così un magistrato ci penserà due volte prima di spiccare un mandato di cattura o stilare una sentenza. Rifirmerei mille volte la proposta di legge, anche se mi sembra poggiare su un fondamento contraddittorio: che il carcere possa in fin dei conti rendere migliore chicchessia, foss’anche un tirocinante. La cosa buffa è che questo paradosso mi è balenato mentre cercavo la fonte del passo di Sciascia, sfogliando gli atti di un seminario dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia, “Giustizia come ossessione” (La Vita Felice, 2005). Mentre ne setacciavo le pagine, infatti, gli occhi mi sono caduti su quest’altra frase: “La pena rieducativa è un ossimoro, come dire ghiaccio bollente o gelido fuoco”. La firma era di Carlo Nordio.

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