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il bi e il ba

Terza regola per trovare il coraggio intellettuale

Guido Vitiello

Sii ragionevolmente antipatico, o meglio, recita la parte dell’antipatico. Viviamo in un’epoca che ha formalizzato l’informalità e reso obbligatoria la spontaneità, ma non è un bene per la libertà interiore

Una tradizione plurisecolare, che dai trattati rinascimentali sull’uomo di corte si allunga fino al Novecento con i “Cento e un ragionamenti” di Alain, raccomanda una certa dose di ipocrisia come salvaguardia della libertà interiore. Se non indossi una maschera sociale impenetrabile e ti affidi alla spontaneità e all’informalità, infatti, rischi senza accorgertene di accomodarti al tuo interlocutore più di quanto vorresti, trovandoti infine immobilizzato dagli invisibili lacci della simpatia. Il precetto, va da sé, era pensato per un tempo in cui esistevano rituali codificati e gerarchie riconosciute, e in cui metter troppa parte della propria umanità nei rapporti con un signore equivaleva, di fatto, a consegnargli anche l’anima. Rischi di questo tipo, tuttavia, non sono scomparsi. Lo stesso precetto, in un’epoca che ha formalizzato l’informalità e reso obbligatoria la spontaneità, potrebbe suonare così: sii ragionevolmente antipatico, o meglio, recita la parte dell’antipatico. Non dico scortese o dispettoso, ma quel tanto misantropo da schermare e rendere innocui i raggi della confidenza. I sufi chiamano Via di Malamat, o del biasimo, la scelta ascetica di mostrarsi spregevoli agli occhi del mondo, per non attirarsene le lodi. L’importante, nel rendere ispida la propria persona pubblica, è custodire quella privata: guai a calcarsi una maschera con tanta lena da non saperla più distinguere dal proprio volto! E con questo terzo precetto si chiude il mio piccolo prontuario per il pavido che, avendo a cuore quel coraggio intellettuale che tanto gli riesce innaturale, voglia nondimeno crearsi le condizioni più agevoli per esercitarlo.

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