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Il Tribunale e l'Ospedale, le due facce dell'imperscrutabile potenza che rovinò la vita a Del Turco

Guido Vitiello

Spesso si osserva che il malanno incurabile di un imputato si fa specchio vivente, o per meglio dire morente, di una giustizia patogena e patologica. Capitò a Tortora, è successo anche a un galantuomo come Ottaviano Del Turco

Qualcuno ha ipotizzato che Il processo di Kafka descriva il decorso di una malattia mortale, che sia insomma un curriculum morbi mascherato sotto le vesti allegoriche di un’istruttoria, in cui le udienze prendono il posto delle visite periodiche. Nel romanzo espressionista a puntate delle nostre cronache capita più spesso di osservare il contrario: che il malanno incurabile di un imputato si faccia specchio vivente, o per meglio dire morente, di una giustizia patogena e patologica. Enzo Tortora, fin dall’arresto, fu ossessionato dall’analogia tra la sanità e la giustizia, tra il Tribunale e l’Ospedale, e scontò nella carne questa intuizione profondissima: via via che la malattia iatrogena del processo proliferava, e che i luminari della Procura di Napoli la alimentavano con il sangue guasto delle calunnie di pentiti e di cialtroni, il corpo di Tortora ne rendeva visibile la mostruosità. Era il ritratto di Dorian Gray in cui la magistratura avrebbe dovuto specchiarsi con orrore; e proprio per questo lo nascose prudentemente in una soffitta corporativa, dove tuttora accumula polvere e incuria. Considerazioni dello stesso tono, se non più feroci e sconsolate, mi suscita la lunghissima agonia umana e giudiziaria di quel galantuomo di Ottaviano Del Turco, abbandonato come un appestato da chi avrebbe dovuto difenderlo. Con un’ironia supplementare, però: nel processo kafkiano che gli ha rovinato la vita – la cosiddetta “Sanitopoli” abruzzese – il Tribunale e l’Ospedale erano due facce di una sola imperscrutabile potenza.