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Il ricatto intellettuale di chi dice che "tutto è politico"

Guido Vitiello

“Il mantra che ‘tutto è politico’ è estremamente banale. Nel peggiore dei casi porta all’idea puerile che se uno si rilassa per un po’ non sta cercando di abbattere il sistema, e quindi è un reazionario complice dello status quo”, dice il musicologo Ian Pace

La sociologa Nathalie Heinich lo chiama “sofisma dei confini”: se tra due ambiti esiste una zona grigia o un’area di sovrapposizione, questo implica che il confine è puramente convenzionale, e che i due ambiti sono in fin dei conti indiscernibili. Sofisma fallace e un po’ vile: nulla alletta lo sciocco e il pusillanime – che spesso sono una persona sola – quanto il poter dire a costo zero che una qualunque questione è più complessa di come la presenta un interlocutore che ha il coraggio di operare distinzioni, ossia di pensare. Per esempio, scrive Heinich (il suo pamphlet, Quello che la militanza fa alla ricerca, è stato tradotto di recente da Mimesis a cura di Ivelise Perniola), non sempre è facile separare la scienza dall’ideologia; e allora, concluderà trionfale il nostro idiot savant, tutta la conoscenza è politica, e gli accademici non solo possono orientare politicamente la loro ricerca, ma non possono non farlo. Su questo ricatto intellettuale dalla lunga e truce storia novecentesca si è soffermato pochi giorni fa il musicologo Ian Pace in un saggio su The Critic a proposito di alcune polemiche universitarie britanniche: “Il mantra che ‘tutto è politico’ è estremamente banale. Nel peggiore dei casi porta all’idea puerile che se uno si rilassa per un po’ non sta cercando di abbattere il sistema, e quindi è un reazionario complice dello status quo”. Ma anche nel migliore dei casi, il ragionamento è fallato: con la stessa legittimità si potrebbe dire che tutto è filosofico, tutto è estetico, tutto è meteorologico, tutto è gastronomico. Per esempio, caro lettore, potresti appallottolare questa pagina e mangiarla. Non lo fai? Ebbene, la tua è una scelta gastronomica. Non puoi non prendere posizione nella disputa sulla commestibilità.

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