ALice Teghil in "Caterina va in città"

il bi e il ba

Quanto racconta della destra di oggi il Manlio Germano di "Caterina va in città"

Guido Vitiello

Nel film di Virzì, Claudio Amendola interpreta un sottosegretario postfascista deluso perché la base è ancora ferma ai saluti romani. Lui però se ne discosta come un parvenu infastidito più che come qualcuno che sia davvero andato oltre

Qualunque discorso sull’Italia che non abbia almeno un poco la forma della commedia, io fatico a prenderlo sul serio. E’ la forma più adatta a contenere il massimo della verità sul nostro paese e lasciar fuori il massimo della menzogna. E siccome il cinema attuale mi tiene in astinenza, guardo e riguardo l’ultima grande commedia girata in Italia, forse l’unica di questo secolo che possa stare senza imbarazzo accanto a quelle del secolo scorso. Parlo di "Caterina va in città" di Paolo Virzì. Conosco ben pochi film che sappiano orchestrare tante illuminazioni sull’Italia in una partitura polifonica e contrappuntistica così perfetta. Con l’ultima visione ho fatto caso a un’altra piccola gemma, una scena che dice tutto sul dibattito attuale intorno alla destra, il postfascismo, la cultura e l’egemonia. E’ quella in cui Manlio Germano, il sottosegretario postfascista interpretato da Claudio Amendola, torna in auto blu dal matrimonio di un cugino di Latina pieno di nostalgici e di ex picchiatori. Germano confida al suo assistente di essere deluso, perché ha constatato che l’idea della destra di governo proprio non è passata, e che la base è ancora ferma ai saluti romani. Lui però se ne discosta come un parvenu infastidito più che come qualcuno che sia davvero andato oltre: è evidente che vive nell’ansia di esserne risucchiato. Spera che sia possibile superare questa stagnazione culturale grazie alle nuove generazioni, e si rivolge alla figlia che è seduta con le amiche sul sedile posteriore. Le ragazzine fanno finta di dargli ragione, ma chiacchierano dei fatti loro: non gliene importa nulla dei fascisti e dei postfascisti. E così il sottosegretario si scopre cronicamente fuori tempo: in ritardo sui vecchi camerati, irriducibili e irredimibili, in ritardo sui giovani, allegramente inespugnabili. E’ in questo limbo che si trova tuttora la destra italiana.

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