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La schizofrenia del pm, accusatore parziale e giudice imparziale

Guido Vitiello

Con il primo sì della commissione affari costituzionali della Camera alla separazione delle carriere, torna la questione: potrà mai esistere, al di là dei buoni propositi dottrinari, una "cultura della giurisdizione"? Rileggere Calamandrei

La coincidenza tra la condanna del pm Fabio De Pasquale per aver nascosto delle prove a favore della difesa e il primo sì della commissione affari costituzionali della Camera alla separazione delle carriere è così perfetta che potrebbe essere vista come un esempio di poetic justice. Ieri infatti molti commentatori sono tornati a interrogarsi su quello strano ircocervo chiamato “cultura della giurisdizione”. Vale la pena rileggere Piero Calamandrei: “Fra tutti gli uffici giudiziari, il più arduo mi sembra quello del pubblico accusatore: il quale, come sostenitore dell’accusa, dovrebb’essere parziale al pari di un avvocato; e, come custode della legge, dovrebb’essere imparziale al pari di un giudice. Avvocato senza passione, giudice senza imparzialità: questo è l’assurdo psicologico nel quale il pubblico ministero, se non ha uno squisito senso di equilibrio, rischia ad ogni istante di perdere per amor di serenità la generosa combattività del difensore, o per amore di polemica la spassionata oggettività del magistrato”. Coerentemente, il giurista e avvocato Oliviero Mazza, intervistato ieri da Valentina Stella per il Dubbio, ha detto che se un pm facesse davvero entrambe le cose, l’accusatore parziale e il giudice imparziale, rischierebbe “una pericolosa schizofrenia investigativa”. La schizofrenia, a ben vedere, è il prevedibile esito dell’“assurdo psicologico” di Calamandrei. E allora vien da chiedersi: potrà mai esistere, al di là dei buoni propositi dottrinari, una cultura della giurisdizione, se non esiste in natura una psicologia della giurisdizione?