Il bi e il ba
Il "dilemma del prigioniero” blocca il Parlamento sulle carceri
Dal 1992 spetta non più al Presidente della Repubblica, ma alla Camera e al Senato con maggioranza qualificata, l’approvazione dell’amnistia. Ma da allora, per questa ragione, non ce ne sono state più perché manca un'assunzione di responsabilità
Sottoscrivo – per quel che conta e per quel che conto – l’appello ai parlamentari di Luigi Manconi e altri per “fermare la strage di vite e diritti nelle carceri italiane” attraverso un provvedimento di clemenza, preferibilmente una legge di amnistia. Ma sottoscrivo non senza avvertire una grande ironia, che non riguarda soltanto la politica carceraria. E’ noto che dal 1992 spetta non più al capo dello stato, ma al Parlamento con maggioranza qualificata, l’approvazione dell’amnistia; ed è altrettanto noto che da allora, per questa ragione, di amnistie non ce ne sono state più. L’appello invita a una “condivisione di responsabilità tra le forze politiche”, ma il vero problema è che ormai, in tutti gli ambiti che richiedano assunzioni di responsabilità impopolari, vige tra i partiti uno stallo che ricorda il famoso “dilemma del prigioniero” della teoria dei giochi, con la differenza che qui il carceriere è l’opinione pubblica aizzata dalla cattiva stampa. Maggioranza e opposizione possono anche accordarsi di non collaborare con la canizza forcaiola, ma vivranno nel timore (spesso fondato) che all’ultimo la controparte si sfilerà dall’intesa. Perciò, in ultimo, conviene a entrambi cavalcare la belva. Dov’è l’ironia, allora? Eccola: è che i parlamenti adulti della Prima Repubblica, di cui pure si sono denunciati a ragione i vizi consociativi, forse sarebbero stati capaci di un’assunzione di responsabilità come quella promossa dall’appello, anche se la legge non gliela richiedeva. Quelli dell’attuale asilo infantile, invece, che in teoria potrebbero votarsi l’amnistia da soli, nei fatti la accetterebbero solo se fosse concessa da un sovrano in grado di esentarli dal dilemma di cui sopra. Forse è tempo di rimettere la clemenza sulle ginocchia del Quirinale.