il bi e il ba

Matt Walsh, regista troll che mostra il lato comico dei liberal americani

Guido Vitiello

L’idea di fondo di "Am I Racist?" è semplice e persuasiva: concentrarsi ossessivamente sul fattore razziale, così da renderlo visibile in ogni interazione sociale, non è un buon modo per combattere il razzismo, semmai è una via infallibile per esasperarlo

Ho visto finalmente Am I racist?, il secondo film di Matt Walsh (il primo, due anni fa, era What is a woman?). Walsh, per chi non lo sapesse, è un giornalista molto conservatore e molto cattolico, molto gonzo e molto troll, che cura un podcast su The Daily Wire. Stavolta abbandona la camicia di flanella a quadri e si mimetizza tra i liberal per mostrare il lato involontariamente comico dei corsi di consapevolezza antirazzista ispirati alla DEI (Diversity, Equity and Inclusion). L’idea di fondo è semplice e persuasiva (lo era già quella del film precedente): abbandonare la color blindness e concentrarsi ossessivamente sul fattore razziale, così da renderlo visibile in ogni interazione sociale, non è un buon modo per combattere il razzismo, semmai è una via infallibile per esasperarlo. Ma il merito del film non è nelle opinioni del suo autore, che sono non di rado grottesche. Walsh ha (con rispetto parlando) la faccia come il culo, e forse per questo la copre con una folta barba che sta tra l’hipster e il mullah. E ha un talento innegabile nel creare situazioni surreali rimanendo perfettamente impassibile. La scena clou è l’intervista a Robin DiAngelo, l’educatrice antirazzista (bianca) che ha fatto fortuna con il vacuo bestseller White fragility. A un certo punto Walsh chiama in scena il produttore (nero) del film, e propone di pagargli le “riparazioni”: tira fuori dal portafogli venti dollari e si scusa che non siano abbastanza per fare ammenda di quattro secoli di oppressione. Questa piccola gag tra socio e compare, degna di Totòtruffa 62, è già abbastanza comica di per sé. Ma più comico ancora è che Robin DiAngelo – il Decio Cavallo di turno – ci caschi in pieno, e vada a prelevare dalla borsetta trenta dollari (ne ha ricevuti quindicimila solo per farsi intervistare). Ebbene, l’immagine della conferenziera tradotta in tutto il mondo che allunga una mancia di pochi spiccioli a un nero generico vale tutto il film.

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