il bi e il ba
Caro Manconi, la guerra al pol. corr. non risponde solo al desiderio di usare vecchi insulti
E se, alla resa dei conti, la promozione del politicamente corretto rivelasse il desiderio non so quanto inconscio di porsi in una posizione superiore rispetto ai propri interlocutori?
Mi perdonerà Luigi Manconi se ancora una volta prendo spunto da un suo intervento (“Il linguaggio inquinato”, su Repubblica di ieri) per ragionare su una questione che mi sta a cuore quanto a lui. Manconi esordisce così: “E se, alla resa dei conti, la guerra contro il politicamente corretto rivelasse il desiderio non so quanto inconscio di poter chiamare ancora negri i negri e froci i froci?”. Non c’è dubbio che per alcuni, forse per molti, sia così; ma l’enfasi sulle pulsioni individuali rischia di farci perdere di vista l’essenziale, che è un gioco delle parti tutto sociale, per il quale la contesa sul linguaggio è soltanto uno dei pretesti. Proviamo a capovolgere la domanda: e se, alla resa dei conti, la promozione del politicamente corretto rivelasse il desiderio non so quanto inconscio di porsi in una posizione superiore – ortopedico-pedagogica, come direbbe Giovanni Orsina – rispetto ai propri interlocutori? Finché non si capisce la meccanica sociale di questa altalena a carosello di spinte e controspinte si è condannati a bollare come “allucinazione” (ancora Manconi) l’idea che Kamala Harris possa aver perso anche per questioni apparentemente così irrilevanti. È la vecchia gag circense del clown bianco (virtuoso e farisaico) e dell’augusto (puerile e pasticcione), tanto cara a Fellini: “Il clown bianco pretenderà che l’augusto sia elegante. Ma tanto più questa richiesta verrà fatta con autorità, tanto più l’altro si ridurrà a essere stracciato, goffo, impolverato”. C’è gente che non avrebbe nessuna voglia di usare espressioni “scorrette”, se non fosse che i clown bianchi pretendono di insegnargli come deve parlare, e di metterlo dietro alla lavagna se non lo fa. Non è da qualche inconscio barbarico che pesca i suoi bassi istinti linguistici, ma da una dialettica perversa che è interamente sociale, e che a lungo andare tira fuori il peggio di entrambe le parti. Prima lo capiamo, meglio è per tutti.