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Macché parricidio, nella guerra per il M5s non c'è alcun conflitto di valori

Guido Vitiello

Quello da Grillo a Conte è un passaggio dall’indefinito all’indefinito. Uno si diceva “né di destra né di sinistra”, che non vuol dire un fico secco, l'altro si proclama “progressista indipendente”, che non vuol dire una benemerita fava

Io la farei meno tragica. Massimo Recalcati convoca Sofocle, Goethe e Freud per darsi conto della successione nel M5S. Il padre che diventa vittima sacrificale del figlio, il figlio che non riconosce il debito simbolico verso il padre, la resa dei conti solenne tra la politica e l’antipolitica. Caspita. Mi ricorda quei critici classici francesi menzionati da René Girard nelle prime pagine del suo libro su Shakespeare, “grandi esperti nel nascondere la nudità della rivalità mimetica dietro il nobile paravento di dibattiti etici fasulli: l’onore contro l’amore, la passione contro il dovere, e così via”. Tralasciando il fatto che è un po’ difficile descrivere il rapporto simbolico tra Grillo e Conte sulla falsariga di quello tra un padre e un figlio, la catatteristica più vistosa della guerra per l’eredità del M5S mi pare l’assenza di qualunque conflitto tra valori, di una qualunque contesa sul palcoscenico tra maiuscole intabarrate in una tunica. È un passaggio dal nulla al nulla o, se vogliamo essere meno drastici, dall’indefinito all’indefinito. Quello lì si diceva “né di destra né di sinistra”, che non vuol dire un fico secco, così da aver le mani sempre libere di fare come gli conveniva sul momento, questo qua si proclama “progressista indipendente”, che non vuol dire una benemerita fava, per continuare a scegliere di volta in volta la mossa più vantaggiosa, l’alleanza più remunerativa. Altro che padre e figlio, sono gemelli omozigoti. Ma questa non è una tragedia, è una commedia: per l’esattezza, i Menecmi di Plauto.

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