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"Sorella, io ti credo" è uno slogan incompatibile con la presunzione d'innocenza

Guido Vitiello

Nessuno dubita che le denunce di violenze siano in larghissima maggioranza vere. E le denuncianti si scontrano spesso con un sistema che scredita la loro testimonianza. Ma guai a prendere alla lettera l'espressione “sorella, io ti credo” dal punto di vista giudiziario

Tema: è possibile conciliare lo slogan “Sorella, io ti credo” con il principio costituzionale della presunzione d’innocenza? Svolgimento: no. Ma mi tocca riempire ancora un po’ di righe. Ascoltavo ieri l’intervento di una giurista in un podcast molto seguito. Ne trascrivo una frase: “L’indagato nei confronti del quale non ci sono prove sarà (correttamente sul piano giuridico) prosciolto, ma la violenza subita dalla vittima (così come il suo racconto e la sua testimonianza) non è certo meno vera”. Ergo, esistono solo due possibilità: condannato perché colpevole o assolto benché colpevole, resuscitando lo spirito della vecchia “formula dubitativa”. L’ipotesi dell’innocenza non è neppure contemplata. Non molto diverse erano le opzioni che il pittore Titorelli prospettava a K. nel Processo. A cosa si riduce, date queste premesse, la presunzione d’innocenza? A una materia da legulei senza rapporto con la vita o, come direbbe Piercamillo Davigo, a un “fatto tecnico” tutto interno al processo. Non è un problema solo italiano: nel 2017, un libro esemplare di KC Johnson e Stuart Taylor Jr., The campus rape frenzy. The attack on due process at America’s universities (Encounter Books), documentava una tendenza a invertire l’onere della prova che dai procedimenti interni alle università rischiava di estendersi alla giustizia penale, con l’avallo colpevole dei media. A scanso di equivoci, nessuno dubita che le denunce di violenze siano in larghissima maggioranza vere, né che le denuncianti si scontrino spesso con un sistema incline a screditare la loro testimonianza. Da questo punto di vista, “Sorella, io ti credo” può valere come slogan di solidarietà e di incoraggiamento. Guai però a prenderlo alla lettera. Perché se eleviamo uno slogan a principio costituzionale, finiamo per ridurre un principio costituzionale a uno slogan: lettera morta.

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