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Caro Santalucia, un processo non è un'inchiesta para-giornalistica

Guido Vitiello

Il presidente dell'Anm dice che “c’è un interesse della collettività ad approfondire alcuni fatti in un processo, che prevale sull’interesse alla punizione”. Che sfacciataggine

È difficile trovare un meccanico nelle vacanze di Natale. Ho letto sul Fatto le obiezioni di Giuseppe Santalucia, presidente uscente dell’Anm, alla proposta ancora molto indeterminata di porre un argine legislativo ai “processi temerari”, ventilata dal deputato Enrico Costa. Siccome c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, ha detto Santalucia, non spetta al pubblico ministero decidere quale processo è temerario e quale no. Inoltre, “c’è un interesse della collettività ad approfondire alcuni fatti in un processo, che prevale sull’interesse alla punizione”. La prima obiezione, sia pur formalmente corretta, ha fatto esplodere il mio ipocritometro (del resto all’ipocrisia tutto si può rimproverare ma non il mancato rispetto delle forme). La seconda, invece, ha distrutto in un lampo il mio rilevatore di sfacciataggine. Santalucia rivendica apertamente l’uso improprio del processo come inchiesta para-giornalistica o ricerca para-storiografica. È una riformulazione di una vecchia tesi del magistrato palermitano Vittorio Teresi, secondo il quale “un’inchiesta giudiziaria consente di rischiarare la storia politica con mezzi coercitivi di cui gli storici non dispongono”. Stando così le cose, il pm è un volenteroso ricercatore il cui progetto è finanziato da un grant a cui partecipano, in parti diseguali, i contribuenti e gli imputati. L’obiettivo è la pubblicazione di una sentenza – di condanna o di assoluzione poco importa – che potrà stimolare il lavoro di nuovi pm-storici, magari con gli stessi imputati, costretti a sovvenzionarli di nuovo. È difficile trovare un meccanico nelle vacanze di Natale, e ora mi ritrovo con un ipocritometro a pezzi e uno sfacciatometro fuso.

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