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Ai carcerati non aggiungiamo la pena delle nostre chiacchiere

Guido Vitiello

Bergoglio ha compiuto un gesto semplice e simbolico: ha aperto una porta. Ricordiamoci che le promesse formulate da chi sta fuori, come il ministro Nordio, hanno un suono diverso per chi sta dentro e vuole aggrapparsi a una speranza qualunque

Una misurata preghiera per il 2025. Ora che il Papa ha spalancato a Rebibbia la Porta Santa, vien da chiedersi che ne sarà delle tante porte profane delle carceri italiane, affidate ai nostri Guardiani della Legge. Per il momento circolano le solite parole d’ordine: amnistia, indulto, indultino, edilizia carceraria, misure alternative, domiciliari, braccialetti elettronici, pene in comunità, nuove assunzioni di agenti penitenziari e di giudici di sorveglianza – ed è solo il raccolto delle prime quarantott’ore. Il ministro Nordio, o meglio l’ultracorpo che è spuntato da un baccellone per sostituire l’originale garantista, prospetta un gagliardo piano dopolavoristico: portare nelle carceri sport, attività e iniziative culturali. E’ un cicaleccio fastidioso, anche se è di gran lunga più sopportabile dell’incessante rumore di chiavistelli che perseguita tutto il giorno i detenuti e continua ad assillarli anche dopo la scarcerazione. Ed ecco la mia preghiera: non aggiungiamo allo sferragliare delle chiavi la pena aggiuntiva delle nostre chiacchiere, e ricordiamoci che le promesse formulate da chi sta fuori hanno un suono diverso per chi sta dentro e vuole aggrapparsi a una speranza qualunque. Insomma, non rimettiamo in scena lo spettacolo indecente di venticinque anni fa, ai tempi di Wojtyla: mesi e mesi di tergiversazioni per poi non combinare nulla. Bergoglio ha compiuto un gesto semplice e simbolico: ha aperto una porta. Guai ai nostri Guardiani della Legge se la lasciassero socchiusa tutto l’anno, per poi sbatterla in faccia all’uomo di campagna.

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