il bi e il ba
Che succede se nemmeno gli scrittori sanno più immaginare le ragioni umane di un omicidio
Contro i giudici di Modena, il commento di Viola Ardone su Repubblica esordisce così: “Da scrittrice non riuscirei ad accostare l’aggettivo ‘umano’ al sostantivo ‘omicidio’”. Davvero? Non siamo pur sempre la stirpe di Caino?
Delle motivazioni dei giudici di Modena conosco, come tutti, tre parole, una per ogni decennio di carcere inflitto: motivi umanamente comprensibili. Ma la sentenza, come fa notare l’avvocato Gian Domenico Caiazza, è composta di ben 213 pagine: “Non le ha lette nessuno, naturalmente. Io lo sto facendo ora. Un formidabile sforzo di ricostruzione di una vicenda umana terrificante e maledettamente complessa”.
Verrebbe voglia di saperne di più, non certo di meno, specie se per mestiere s’immaginano vite, circostanze, destini, sentimenti di persone sconosciute. E invece trovo su Repubblica un commento della scrittrice Viola Ardone che esordisce così: “Da scrittrice non riuscirei ad accostare l’aggettivo ‘umano’ al sostantivo ‘omicidio’”. Davvero? Vogliamo cancellare così, con un tratto di penna, alcuni millenni di storia della letteratura, questa prodigiosa opera collettiva di ampliamento dei confini di ciò che consideriamo umano? La questione sembrerebbe letteraria, ma è squisitamente politica, o quanto meno civile. Se nemmeno più gli scrittori – i canarini nella miniera – sono in grado di esercitare quel minimo di immaginazione morale per capire le ragioni umane di un atto che più umano non si può (siamo pur sempre la stirpe di Caino), allora è proprio il caso di rilanciare le domande di Caiazza: “è mai possibile che si debbano mitragliare giudizi feroci, richieste di ispezioni, linciaggi morali di due giudici togati e sei giudici popolari, senza sapere nulla di nulla di nulla? Ma che mondo sta diventando, il nostro?”. Te lo dico io, caro Gian Domenico: un mondo in cui avvocati e magistrati insegnano il mestiere agli scrittori.