il bi e il ba
"Iva", il "per così dire" in sanscrito tanto caro a Calasso
È la formula magica che chiama a raccolta intorno alla nudità vergognosa della lettera la ricca veste dei sottintesi e dei non intesi. Contro le mute di letteralisti ottusi
Spesso i governi tagliano l’Iva per contenere l’inflazione, ma nell’economia del linguaggio le cose non sono così semplici. Ormai con una carretta di parole non ci compri più un atomo di verità, e il rincaro non accenna a rientrare, anche se l’Iva non l’abbiamo solo sforbiciata, l’abbiamo abolita del tutto. Attenzione, non mi riferisco all’imposta sul valore aggiunto, ma a una parola sanscrita molto amata da Roberto Calasso, che così vi accenna in una pagina di Ka: “Per così dire, iva. (Appena si tocca un punto decisivo è opportuno attenuare l’affermazione con quella particella, iva, che non vincola)”. Nella conversazione l’iva, il “per così dire”, è indispensabile come l’aria: senza, si muore d’asfissia. È la formula magica che chiama a raccolta intorno alla nudità vergognosa della lettera la ricca veste dei sottintesi e dei non intesi (guai a illuderci di capire fino in fondo ciò che diciamo); è il tappeto volante che consente di farla fluttuare, quella lettera miserella, fra i diversi cieli di significato in cui può essere decifrata; è lo scongiuro sacro che protegge i templi della letteratura, dell’umorismo, della tolleranza. Invece, nella perversa economia linguistica di questi anni, di cui i social network sono la Wall Street, si fa scialo quotidiano di mille iperboli insignificanti (è l’iperinflazione), ma quando qualcuno ha l’ingenuità di ricorrere all’armamentario fuori moda delle sottigliezze retoriche, è messo all’angolo da mute di letteralisti ottusi che pretendono di considerare, delle sue parole, solo il valore nominale. Questo è, alla lettera, ciò che penso (più iva).