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Il Bi e il Ba

Cliché giornalistici e opinionismo compulsivo

Guido Vitiello

Le "motivazioni choc" della sentenza Turetta hanno suscitato indignazione trasversale. Ma se la pena dev'essere proporzionata al delitto, e peggio dell'ergastolo non c'è nulla, contestare una condanna "solo" al carcere a vita è un caso esemplare di foga forcaiola

Incuriosito dall’indignazione trasversale suscitata dalle “motivazioni choc” (è ormai un cliché giornalistico) della sentenza Turetta, sono andato a leggermi le sentenze della Cassazione che si soffermano sull’aggravante della crudeltà in relazione al numero dei colpi inferti alla vittima. Ne estrapolo un paio di frasi: “La mera reiterazione dei colpi inferti (anche con uso di arma bianca) non può determinare la sussistenza dell’aggravante dell’aver agito con crudeltà se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a se stessa” (Cassazione Penale, Sez. I, 24 febbraio 2015, n. 8613). “La pronunzia si rivela, al fondo, perfettamente aderente alle caratteristiche dell’aggravante che si sono sopra tratteggiate: l’inflizione di lesioni eccedenti rispetto alla normalità causale, sorretta dalla perversa volontà di cagionare gratuite sofferenze fisiche o morali” (Cassazione Penale, Sezioni Unite, 29 settembre 2016, n. 40516).

Non essendo un giurista né un cronista giudiziario, e non conoscendo della sentenza che i pochi brandelli che ne hanno trascritto i giornali, preferisco astenermi dall’opinionismo compulsivo. Mi limito a far notare che se la pena dev’essere proporzionata al delitto, e peggio dell’ergastolo non c’è nulla (a meno di voler reintrodurre la pena di morte o le flagellazioni in piazza), la canea generale per una sentenza che condanna Turetta “solo” al carcere a vita è un caso esemplare di una foga forcaiola che “trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a se stessa” e che è “sorretta dalla perversa volontà di cagionare gratuite sofferenze fisiche o morali”. 

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