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Il Bi e il Ba
Criminalizzare la resistenza passiva in carcere è una vergogna
Alcuni storici ritengono che quella degli internati militari italiani, deportati nei campi di concentramento dopo l'8 settembre, fu una forma di Resistenza passiva contro il nazifascismo. Maligna coincidenza: nelle carceri italiane la protesta pacifica dei detenuti sta per diventare reato. Non c'è miglior modo di celebrare la Liberazione che protestare contro quest'abominio
Ieri il Post ha dedicato un articolo (Ci fu anche una Resistenza “passiva”?) agli internati militari italiani, quei soldati arrestati dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 – furono centinaia di migliaia, forse ottocentomila – che si rifiutarono di combattere contro gli Alleati al fianco dei nazisti e dei repubblichini e furono perciò deportati in appositi campi di concentramento. Davanti alle ripetute offerte di tornare in patria, a patto che si schierassero dalla parte sbagliata e aderissero alla Repubblica Sociale, in larghissima maggioranza gli IMI preferirono sopportare condizioni di internamento inumane. Decine di migliaia trovarono in quei campi la loro morte. Per alcuni storici, dice il Post, la loro “fu una forma di Resistenza passiva contro i nazisti e i fascisti”.
Non mi sogno di entrare nella questione storiografica, sulla quale rimando al bel libro di Nicola Labanca, Prigionieri, internati, resistenti (Laterza, 2022). Mi interessa soltanto ragionare sulle assonanze contemporanee di quella formula, e su una maligna coincidenza: proprio in questi giorni, grazie all’abominevole dl sicurezza, nelle carceri italiane la resistenza passiva sta per diventare un reato, sotto l’etichetta di “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”. Non venite a dirmi – lo so già – che le patrie galere sono altra cosa dai lager nazisti; ma non provate neppure a convincermi che siano luoghi degni di un paese democratico e di uno stato di diritto: sono la più grande, la più abissale, la più spaventosa vergogna nazionale. Criminalizzare la protesta pacifica e la resistenza nonviolenta dei detenuti è peggio che una legge sbagliata: è una cattiva azione. E non c’è miglior modo di celebrare il 25 aprile – e, insieme, di ricordare “sobriamente” Papa Francesco – che sostenere le iniziative di Nessuno Tocchi Caino e della sua presidente Rita Bernardini, le proteste delle Camere penali, gli allarmi inascoltati dei garanti dei detenuti.


